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Il Chiarello di Cirella: Storia di un Vino

Il Chiarello di Cirella:
Storia di un Vino

Uno dei più grandi studiosi dell’economia basso-medievale, Federigo Melis, nel 1955 organizza a Prato una grandiosa mostra sull’economia europea nel tardo medioevo, allestita con i documenti contabili e le lettere mercantili provenienti dal monumentale archivio aziendale di Francesco di Marco Datini, grande mercante italiano vissuto tra il 1335 ed il 1410; nel 1967 fonda, poi, l’Istituto Internazionale di Storia Economica “F. Datini”, attualmente la più importante istituzione internazionale operante nel campo della storia economica dell’età preindustriale.

Per quanto riguarda il vino, dall’archivio dell’azienda Datini risulta chiaramente come il movimento più interessante, nel Mediterraneo, fosse quello del vino calabrese, il quale veniva imbarcato soprattutto dal porto di Tropea, da cui raggiungeva Livorno, Genova, la Provenza, la Spagna, Londra e finanche Bruges, il più grande mercato del Mare del Nord. I carichi erano ingenti, talvolta trasportati con servizi diretti, altre volte attraverso dei passaggi intermedi (ad esempio, per Bruges si cambiava a Maiorca).

Il più delle volte da Tropea partivano solo piccole imbarcazioni fino a Castellammare, Torre del Greco e Napoli, che era il più importante porto del Mediterraneo per quanto concerneva il commercio del vino. Dai tre porti campani il vino calabrese, conosciuto come vino greco, veniva poi trasportato su imbarcazioni più grandi e sicure. Interessante è la notizia che i vini calabresi giungevano fino in Francia, perché la Francia, pur essendo anche allora terra produttrice di vini pregiati, non disdegnava l’utilizzo di vini calabresi. Interessante anche il riferimento al Porto Pisano (nome con il quale era conosciuto il Porto di Livorno), il quale riforniva in particolare la città di Firenze, che nel Medioevo era la più popolosa e ricca città italiana e che costituiva, pertanto, un mercato molto qualificato.

Il vino calabrese, su questa piazza, costava da 3 a 5 fiorini, prezzo inferiore al solo vino di Tiro, che all’epoca era il migliore in assoluto. Tra le località di provenienza del vino calabrese si trovano citate più volte Santa Severina, Santo Noceto (la cui identificazione è incerta) e Fiumefreddo. Secondo Federigo Melis, la forte produzione calabrese – cui si affiancavano le non meno forti produzioni di Puglia, Sicilia e Campania – riconferma che, all’epoca, l’Italia meridionale prevaleva nettamente, nella produzione dei vini, su quella centrale e settentrionale: il vino del centro-nord italiano era prodotto per essere auto consumato in loco, mentre il vino meridionale era consumato molto lontano dai luoghi di produzione e veniva riconosciuto proprio attraverso la denominazione del luogo di origine, quasi che si trattasse di una etichetta di origine controllata ante litteram.

Tra i vini calabresi dotati di una loro individualità vi era anche il Chiarello di Cirella, un vino ampiamente citato da numerosi fonti, tra le quali occorre ricordare le più importanti.

  • Nel 1492 il re Ferdinando di Aragona scriveva al poeta napoletano Pontano di aver inviato in dono, al Pontefice appena eletto, 24 botti di vino, tra cui nove del Chiarello di Cirella.
  • Lancerio Sante, degustatore della corte Pontificia, nel 1500 scriveva un libro sui migliori vini italiani. Una scheda era dedicata al Chiarello di Cirella. Lo stesso parlava di imitazioni del medesimo Chiarello a Grisolia e Orsomarso, ribadendo, però, che il Chiarello originale era solo quello del territorio di Cirella, soprattutto per il suo inconfondibile profumo. Il tentativo, seppure non riuscito, di imitare il vino, di falsificarlo, ne confermava, comunque, la grande bontà.
  • Torquato Tasso, alla fine del 1500, definiva il Chiarello superiore ai vini francesi.
  • Bacci, enologo di fama nazionale, nel 1600 definiva Cirella Vinipoli, la città del vino. Infatti Marilena de Bonis, in Terra d’uve (2003), riporta una frase del Bacci e così la commenta: “Che cosa intende il Bacci con il termine Vinipoli? Certamente Cirella, cioè la città del vino”.
  • Il Chiarello di Cirella veniva inoltre citato da Giuseppe Maria Galanti, nel 1700, e da Vincenzo Padula, nel 1800.
  • Marilena De Bonis, sempre in Terra d’Uve, dedica al Chiarello il maggior numero di citazioni e di pagine. Non c’è confronto tra lo spazio dedicato al vino di Cirella e lo spazio riservato agli altri vini di una regione che, tra l’altro, fu per lungo tempo la regione produttrice dei migliori vini italiani. Tra l’altro la studiosa cosentina, citando proprio il caso di Cirella, nota come ci sia una corrispondenza tra le stazioni di posta (cioè di cambio dei cavalli) segnalate sulla Tabula Peutingeriana e le località note per la produzione di vini pregiati.

Le origini del vino calabrese, infatti, si perdono nella notte dei tempi. Furono i Greci a introdurre la coltivazione della vite nella Magna Grecia, quindi in Italia. Uno studioso tedesco, il Vandermesch, ha delineato un vero e proprio triangolo geografico magno-greco che va da Elea-Velia, in Lucania, fino a Tropea; un triangolo che include, quindi, anche Cirella, dove è attestata, secondo quanto ci riferisce Plinio il Vecchio, la presenza del “Portus Parthenius Phocensium”, vale a dire il Parthenio Porto dei Focesi.

Per i greci si trattava, infatti, di vera e propria coltivazione della vite, comprensiva di regolare potatura, mentre dall’Odissea sappiamo che la vite selvatica, non propriamente coltivata, era già conosciuta dagli Italici. Probabilmente proprio per queste sue origini magno-greche il vino calabrese era conosciuto genericamente nel Medioevo come greco. Di certo si tratta di quel greco, in genere bianco, così pregiato da essere il solo vino che voleva bere Cecco Angiolieri, distinguendolo dai vini latini, rossi, che venivano coltivati ad alberi, quindi potati solo ogni due – tre anni.

A partire dal periodo tardo-medievale, sembrerebbe che a Cirella fossero due le tipologie di vini presenti sul territorio: oltre al Chiarello era presente, infatti, il Cerasuolo, vino rosso meno pregiato del primo, ma che tuttavia godeva di un certo prestigio, che gli derivava proprio dal luogo in cui veniva prodotto, ovvero da Cirella-Vinipoli, la città del vino, tenendo conto che le proprietà terriere dei cirellesi erano molto estese ed arrivavano fino al confine col fiume Abatemarco.

Il Chiarello di Cirella era molto conosciuto ed apprezzato nelle corti italiane rinascimentali, soprattutto presso la corte pontificia di papa Paolo III (1534-1549) dove il Chiarello era annoverato tra i 53 vini più buoni d’Italia, secondo quanto raccontato da Sante Lancerio, storico “bottigliere” del papa, il quale scriveva: “Ne vengono assai, i quali si vendono per Chiarello, ma volendo conoscere se siano de Chiarella, et la loro perfetta bontà, bisogna che sia di colore acceso più che l’oro, et odorifero assai, perché non odorando sarebbe di Grisoglia od Orsomazzo luoghi vicini a Chiarella”. Grazie ad un’accurata ricerca storica, il Mo. Sommelier Giuseppe Palmieri, referente tecnico di Calici Sotto le Stelle, è riuscito a rintracciare un bando del 1589 della Camera Apostolica a firma del Cardinale Enrico Caetano, camerlengo di Santa Romana Chiesa. Del bando, che ammoniva e sanzionava coloro che spacciavano per Chiarello vino non proveniente da Cirella, si riportano alcuni passi, a testimonianza della fama di cui il Chiarello godeva in quell’importante fase della nostra storia:

Poiché noi volendo in ossequio al nostro compito, porre debito rimedio a questi danni e a questi inconvenienti, su mandato della Santità di nostro Signore e per l’autorità del nostro ufficio, non venendo meno al nostro primo bando, di nuovo ordiniamo ed espressamente raccomandiamo a qualunque persona di qualsivoglia stato, grado, titolo e dignità, così secolare come ecclesiastica, e – fra gli altri – ai mercanti, ai possessori di imbarcazione, ai marinai agli osti e ad altre simili persone, che sotto pena di cento scudi d’oro in oro, la perdita dei vini e delle barche, e altri vascelli che portassero (questo vino) […] che non ardiscano e non presumano di vendere per Chiarelli altre sorte di vini se non quelli che realmente siano stati raccolti nella terra di Cirella e nel suo territorio e distretto che dall’età antica si sono chiamati Chiarelli; anzi devono imbarcare, condurre e vendere fedelmente e realmente, schietti, puri e sinceri senza frode, inganno o scambio e nel modo in cui saranno raccolti.

L' Associazione Cerillae

L' Associazione "CERILLAE" per la promozione e la riqualificazione culturale e artistica del territorio della "Riviera dei Cedri".

L' Evento Calici

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